L'aborto come tortura nell'Italia medievale/2: la testimonianza di Camille
pubblicato il 26 marzo 2014 alle ore 10:38
Venezia, Ospedale Civile, Gennaio 2013. Camille 28 anni, francese di Lione, vive in Italia da 7 anni. Con il suo compagno italiano, sono già genitori di una bambina quando Camille è di nuovo incinta. Al quinto mese di gravidanza, le viene diagnosticata una grave malformazione del feto che non lascia speranze di vita per il nascituro: la disabilità sarebbe stata pressoché totale e sarebbe sopravvissuto solo alcuni anni. La legge 194 (http://it.wikipedia.org/wiki/Legislazioni_sull'aborto#La_legge_194) prevede l'interruzione dopo il terzo mese “se le malformazioni del nascituro potrebbero mettere in pericolo la salute psichica e fisica della donna (Legge 194art 6. b)”. Le convinzioni e il credo di Camille non le avrebbero consentito di sopportare l'infelicità di un eventuale figlio in quelle condizioni. La componente “psicologica” prevista dalla legge deve essere accertata e certificata da un professionista. Ma per Camille l'esperienza dallo psichiatra, come anche le fasi successive dell'aborto terapeutico, avvenuto tra “obiettori di coscienza”, sono stati di violenza inaudita e devastanti proprio sul piano psicologico. Ancora una volta, come per Laura Fiore (http://youmedia.fanpage.it/video/aj/UysAMeSw59c73rS3), il personale medico ha arbitrariamente puntato alla colpevolizzazione delle paziente che ha ricevuto suggerimenti religiosi non richiesti e non condivisi, per poi comminare una “punizione” fatta di abbandono e mancanza di assistenza.
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