Nel ghetto dove i bambini non studiano perché la scuola non li vuole: "Hanno le pulci"
pubblicato il 9 novembre 2018 alle ore 10:39
Maria (nome di fantasia) ha dieci anni e le gambe piene di punture di pulci e zanzare. «La dottoressa mi ha detto che se continuo così, rischio di prendere l’epatite, ma gli insetti sono dappertutto».
Maria frequenta la scuola media. «Ma non ho libri chi me li dà i soldi per comprarli?» e ha un grande sogno, quello di stare bene in una casa normale, perché lei da quando è nata, vive in un ghetto alle porte di Melito Porto Salvo, in provincia di Reggio Calabria.
Passa le sue giornate tra i rifiuti tossici, l’eternit e le pulci assieme a circa dieci famiglie emarginate che hanno costruito baracche di fortuna vicino al Palazzetto dello sport da tempo in disuso e sequestrato.
Un Palazzetto che cade a pezzi e che in poco tempo, nonostante le bonifiche, si riempie a tappo. Dentro ci stanno le pecore, ma anche carcasse di automobili, giocattoli, bombole del gas, pneumatici e altri rifiuti altamente tossici.
I bambini giocano qui e respirano quest’aria, ogni giorno. Ce ne sono tanti e due sono in arrivo.
«A scuola non li vogliono. La maestra dice che se hanno le pulci non possono frequentare, ma nessuno ci dà una mano d’aiuto, il sindaco fa finta di niente», dice una delle signore che abitano nel ghetto.
In una baracca vivono in sei, in un camper in quattro con due neonati. Periodicamente viene dato fuoco ai cumuli, lasciando sprigionare fumi tossici che raggiungono le baracche e le altre abitazioni del quartiere.
«Ma tanto non interessa a nessuno perché qui chiunque viene a scaricare l’immondizia. Le ditte ritirano i materiali dalle case, si fanno pagare per poi scaricare tutto qui e questo è il risultato».
I rifiuti girano attorno al palazzetto raggiungendo quasi i finestroni, l’aria è terribile eppure va avanti così da oltre due decenni. A pochi passi dalla discarica c’è la sede della Polizia municipale dove però non vogliono rilasciare interviste sulla questione.
«È veramente paradossale - spiega Giacomo Marino, presidente di Un mondo di mondi, associazione che da anni si batte per il diritto all’abitare – la situazione può essere risolta nell’arco di poche settimane perché parliamo di circa dieci famiglie».
«Non abbiamo mai avuto pretese, non vogliamo ville, ci basta una casa normale dove crescere i bambini in sicurezza», ci spiegano al ghetto.
«Se gli alloggi ci sono - continua Marino- si possono assegnare tranquillamente ai sensi dell’articolo 31 della legge regionale 32/1996 come emergenza abitativa, quindi non si va a fare nessun torto ai vincitori del bando comunale, perché la procedura è legale e prevista dalla legge».
Il sindaco di Melito, Giuseppe Marino, ci apre le porte della sua stanza.
«Dipende cosa intendono loro per alloggio, se intendono quello popolare in graduatoria Erp, c’è da dire che alcuni di loro non hanno fatto neanche la domanda». Ma in generale, secondo il primo cittadino: «Tutti coloro che erano residenti nel campo rom sono stati assegnatari di un posto dove andare a risiedere, ma sono stati loro a non volerci andare perché le case stavano nelle frazioni vicine, come Lacco, Pentedattilo e Prunella e non a Melito».
Meduri è fermo nella posizione: «Qui nessuno dovrebbe sindacare sul tipo di alloggio perché qualsiasi è meglio della baraccopoli, eppure c’è qualche nucleo familiare che preferisce rimanere lì. Allora le associazioni vicine dovrebbero fare squadra con il comune e la Polizia per convincerli a spostarsi».
Alla fine, riusciamo a strappargli una promessa per evitare che Maria e gli altri bambini continuino a stare tra pulci e topi.
«Per quel che mi riguarda- chiosa il sindaco- la partita è già chiusa, entro l’anno questa storia deve finire».
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