Un gioco per ridere della guerra: la storia del papà che sfida la paura per proteggere sua figlia
pubblicato il 18 febbraio 2020 alle ore 17:52
“È un aereo o un proiettile?", chiede Abdullah a sua figlia: "Un proiettile", risponde lei, e poi tutta contenta completa la frase: "Sì, un proiettile e noi rideremo quando arriva", un attimo prima del rumore assordante di una bomba che faccia tremare le pareti. Abdullah Al-Mohammad è un papà che ha inventato un gioco per distrarre la sua bambina, un gioco che scaccia la paura con una risata. Ogni volta che una bomba cade, loro ridono, perché Abdullah ha raccontato alla sua Selva, che ha solo 4 anni, che quelli che sente sono fuochi d’artificio o i proiettili di una pistola giocattolo. Non immagina la verità Selva. Non sa che oltre le mura di quella casa, tutt’altro che sicura, si sta consumando una carneficina di civili: 40 morti in due giorni, di cui la metà bambini come lei. Un gioco che spezza il cuore, fatto di parole piene d'amore che prendono il posto di quelle taciute; perché come può un papà dire alla sua piccola che rischia di morire? Allora la protegge, nell’unico modo possibile: salvando la sua innocenza. Il paragone con “La vita bella” di Roberto Benigni è lampante, lì c’era un papà che trasformava i lager nazisti in un gioco. Questo però non è un film, è il modo in cui una famiglia convive ora, mentre guardate questo video con i bombardamenti nella Siria nord-occidentale, secondo l'Onu: “Da dicembre ad oggi sono circa 875 mila gli sfollati da Idlib a causa dei raid del regime siriano appoggiato dalla Russia contro il nord-ovest dei ribelli”. Il fimato è stato condiviso su Twitter da Mehmet Algan ex deputato del Partito della Giustizia e dello Sviluppo turco e da quel momento sta facendo il giro del mondo: “Abdullah è della città di Saraqib. Ora lui e la sua famiglia rimangono a Sarmada, città di confine con la Turchia, a casa di un amico circondati da esplosioni costanti. Ogni volta che si sente una bomba la famiglia, affinché il “gioco” non finisca. Non c’è bisogno di conoscere l’arabo per capire”.
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