Casalecchio, 30 anni dalla strage della scuola colpita da un aereo: "Nessuno ha mai chiesto scusa"
pubblicato il 6 dicembre 2020 alle ore 10:19
A trent'anni dalla tragedia del Salvemini di Casalecchio di Reno, l'istituto tecnico colpito in pieno da un aereo militare durante un'esercitazione, provocando la morte di 12 compagni di classe della 2A e il ferimento di oltre 80 persone,
Fanpage.it prova a ricostruire gli ultimi istanti di una vicenda drammatica e per molto tempo dimenticata, attraverso gli atti dei tre gradi di giudizio e ad alcune importanti testimonianze. Da quelle dei genitori di due giovanissime studentesse di quella classe così unita, Vittorio Gennari e Roberto Alutto (presidente dell'associazione dei familiari delle vittime del Salvemini) alle parole di due ex studentesse, Stefania Buldrini (che oggi insegna proprio nella "sua" scuola) e Alessandra Venturi. Da Mario Zito, difensore per l'Avvocatura dello Stato dei tre militari condannati e poi assolti in appello, al legale di alcune delle parti civili nel processo, Elena Passanti Scota, fino a Ghino Collina, sindaco dell'epoca alle porte di Bologna e fra i primissimi ad arrivare sul posto. Abbiamo provato anche a cercare gli altri protagonisti della vicenda, ma inutilmente. Bruno Viviani, il pilota a bordo dell'Aermacchi MB-326 in avaria è rimasto in servizio fino al 2000, non si sa altro. Del colonnello Brega, invece, è noto si sia congedato nel 1997, mentre Roberto Corsini ha proseguito la sua carriera militare fino ad arrivare, nel 2015, al Quirinale. Oggi è infatti Consigliere Militare del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ma non è stato possibile intervistarlo. E lo stesso vale per l'Aeronautica Militare che comunque, rispondendoci per email, “rinnova la propria vicinanza e solidarietà ai familiari delle giovani vittime, nella condivisione di un ricordo ancora vivo e doloroso nonostante il tempo trascorso. Quanto accaduto nella mattina del 6 dicembre 1990 rappresenta una delle pagine più drammatiche della storia del nostro Paese, una ferita indelebile nella memoria collettiva".
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