BIAGIO DELLE CASTELLARE 2015
pubblicato il 4 dicembre 2015 alle ore 18:05
Biagio delle Castellare________________________________________
Tradizione vuole che verso la metà del Trecento, un gruppo di Tesini armati di bastoni, forche e altri arnesi rudimentali, dopo avere saputo dell’assedio in corso al castello di Biagio delle Castellare da parte delle armate carraresi, sia sceso prima a Grigno e poi verso castel Ivano cercando di catturare il tiranno per processarlo e giustiziarlo secondo i vecchi statuti della comunità. Ma Biagio, che nel frattempo si era rifugiato in territorio tedesco, riuscì a sfuggire alla cattura e alla popolazione indignata non restò altra soddisfazione che quella di sottoporre al giudizio della comunità un fantoccio di paglia con le sembianze del conte.
E’ questo il nucleo centrale della leggenda carnevalesca del Biagio. Leggenda che si sviluppa su un fatto storico realmente accaduto nel 1365. Proprio in quell’anno Siccone di Caldonazzo, alleato di Carlo IV di Lussemburgo, aveva preso d’assalto il castello di Pergine con il proposito di appropriarsi poi anche di altri territori in Valsugana. Francesco da Carrara, allora impegnato in contese con i signori di Mantova, incaricò Biagio di organizzare nel più breve tempo possibile un esercito. A questo scopo Biagio si rivolse anche alla comunità tesina la quale, però, gli negò uomini, cavalli e viveri. Ricevuti rinforzi da Padova, Biagio marciò verso Levico, ma nell’estate del 1356 fu sconfitto nei pressi di Selva, nel frattempo conquistata da Siccone. Costretto a ritirarsi nei castelli di Ivano e di Grigno, adirato per la disfatta e per non essere stato aiutato dai Tesini, Biagio saccheggiò e bruciò Castello, Pieve e Cinte vessando la popolazione con ogni sorta di angherie.
A seguito della pace, conclusa a Padova il 9 ottobre 1356, Francesco da Carrara dovette cedere ai duchi d’Austria i castelli di Pergine e Selva di Levico con gli annessi feudi. Nominò Biagio (da quel momento ‘delle Castellare’ dall’omonimo castello di Grigno dove si era insediato) signore con poteri assoluti su Grigno e Tesino. Fu questo l’inizio di nove lunghi anni durante i quali la popolazione della valle subì dal nuovo signore soprusi inauditi, angherie, violenze, vessazioni, omicidi e stupri.
Quando, verso la fine del 1364, Rodolfo IV d’Austria mosse guerra a Francesco da Carrara, Antonio d’Ivano e Biagio delle Castellare lo tradirono reputando gli Austriaci di gran lunga più forti. Ma la guerra, inaspettatamente, volse a sfavore di questi ultimi e il Carrarese, rinforzatosi di nuovi alleati, riconquistò Grigno. I Tesini, velocemente armatisi, raggiunsero Grigno per appoggiarne l’esercito intanto impegnato nell’assedio del castello di Biagio. Difeso da pochi uomini il maniero fu rapidamente conquistato anche se il conte, nel frattempo, era riuscito a fuggire alla cattura e a rifugiarsi, insieme ad un gruppo di suoi fedeli, nel vicino castello di Antonio d’Ivano. Dopo giorni di battaglie i carraresi riuscirono ad espugnare anche questo rifugio e a catturare Biagio delle Castellare, il signore d’Ivano e le loro famiglie. Nonostante i Tesini pretendessero la testa di Biagio, Francesco da Carrara negò la consegna dell’ostaggio ed essi, in sua vece, giustiziarono un fantoccio e alcuni dei suoi sgherri che si erano distinti per misfatti e crudeltà. A parziale soddisfazione, gli abitanti della valle stabilirono di celebrare, il primo giorno di Quaresima di ogni anno, un processo in contumacia durante il quale elencare e denunciare le colpe per il quale il crudele Biagio meritava la pena di morte.
Ancora oggi, a oltre seicento anni di distanza, il Tesino periodicamente rivive gli echi della sommossa popolare del 1365. Ciò grazie al coinvolgimento diretto della maggior parte degli abitanti del luogo e all’impegno di un comitato organizzatore che quest’anno, per dare risalto all’ancor più suggestivamente simbolica edizione del 2000, ha preparato l’evento con grande attenzione alla tradizione, così da poter riscoprire e proporre un esempio di ‘processo e condanna del Carnevale’ tra i più significativi e completi nell’ambito della cultura popolare italiana ed europea.
Ogni anno, la festa si svolge l’ultimo giorno di carnevale e il primo giorno di quaresima, data per tradizione cristiana legata all’astinenza e alla penitenza.
Il primo giorno da piazza Crosara, punto centrale del paese di Castel Tesino, partono un gruppo di guardie a cavallo precedute da tre giovani di discreta statura abbigliati con lunghe vesti variopinte e altissimi cappelli sui quali è scritto ‘Diritti Antichissimi’. Seguono la banda del paese, il gruppo folkloristico nel tipico costume, un gruppo di ragazzi vestiti con pelli di pecora e abiti d’epoca e gran parte della gente dei tre paesi dell’altopiano.
Nel frattempo, seguendo la strada che scende verso Grigno e poi risale in direzione di Strigno passando per Ospedaletto e Villa Agnedo, arrivano a castel Ivano un secondo gruppo di guardie e la polizia segreta. Quest’ultima, originale parodia di agenti segreti con mantello nero, ha il compito di sventare eventuali piani di fuga organizzati dai fedelissimi di Biagio.
Lungo il percorso l’atmosfera è tipicamente carnevalesca: la distribuzione di dolci e vino contribuisce ad aumentare, a ogni paese, le fila degli spettatori che manifestano la propria partecipazione imprecando contro il tiranno.
Finalmente, davanti a castel Ivano tutti si fermano in attesa del conte Biagio in catene. La polizia segreta lo consegna alle guardie tesine insieme alla moglie, ai due figli e ad un nobile di corte, lo stesso che più tardi impersonerà la figura del corruttore. Successivamente il corteo si ricompone e riparte verso Tesino sostando presso ogni paese situato lungo il percorso. Annunciato dall’altoparlante e dal gran movimento della folla Biagio delle Castellare arriva nella piazza principale del paese che è già buio. La popolazione, abbondantemente rifocillata dal vino, grida, applaude, lancia ingiurie verso la sua carrozza. Contemporaneamente il capitano delle guardie assicura del fatto che, durante la notte, il tiranno sarà custodito nelle prigioni del vecchio municipio del paese in attesa del processo che avrà luogo l’indomani.
Dopo una notte di schiamazzi, risate e libagioni, il mattino seguente tutto riprende con rigorosa solennità: le contrade sono gremite di gente fin dalle prime ore di luce. Verso le nove si forma nuovamente il corteo al gran completo: la banda e i gruppi folkloristici locali, un gruppo di donne negli antichi costumi, le guardie a cavallo e gli armigeri, i cortigiani, i boia incappucciati, la polizia segreta, Biagio e la sua famiglia, i testimoni, i tre rappresentanti dei ‘Diritti Antichissimi’ e, naturalmente, una gran folla.
A Pieve è già tutto predisposto per il processo. La corte è composta da un cancelliere che, dopo aver introdotto alcune note storiche sulla vicenda, spiega le circostanze che hanno portato Biagio delle Castellare davanti al tribunale di Tesino; dal presidente della corte che apre le sedute, interroga i testimoni e annuncia la sentenza di morte; dal pubblico ministero che legge l’atto di accusa; dall’avvocato difensore che assai poco abilmente si destreggia a difendere e giustificare un uomo dei cui misfatti egli stesso si ritiene vittima. Sono poi presenti, indispensabili elementi del processo, due testimoni di accusa (Jijo Mescola, derubato delle galline e Toni Renga, derubato della moglie) ma non c’è alcun testimone della difesa.
A differenza di oggi in passato erano molti i testimoni a denunciare le male azioni del tiranno. Le loro battute, improvvisate o preparate nei filò, erano sempre una rinnovata sorpresa e ognuno poteva esprimere ironia, rabbia o allegria salendo sul palco della piazza. Le invettive contro il tiranno, esternate in un crescendo liberatorio, erano tra i momenti più attesi dalla popolazione.
Dal 1947 il processo al Biagio è stato organizzato in maniera spettacolare: per cura di Emilio Busarello ne è stato anche trascritto il testo che, da allora, è lo stesso che viene recitato dagli attori ad ogni rievocazione. Prima del 1947, invece, tutte le fasi processuali si tramandavano oralmente e solamente quanti interpretavano la parte dei giudici avevano a disposizione alcune orientative indicazioni andate però distrutte durante il primo conflitto mondiale. Solitamente la parte interpretata era tramandata di padre in figlio: ogni attore rappresentava un soggetto costante e fisso nell’aspetto esteriore, individuabile per le sue caratteristiche psicologiche e, similmente a quanto avviene nella commedia dell’arte, gli attori, pur mantenendosi entro certi determinati schemi, improvvisavano le battute e su un canovaccio organizzavano gli sviluppi delle scene e dell’azione. Giudici e avvocati, austeramente abbigliati con lunghe toghe, recitavano in lingua italiana intercalando spesso le loro arringhe con citazioni latine. I testimoni, vestiti con pelli di pecora, accusavano o difendevano Biagio usando espressioni strettamente dialettali accompagnate da lamenti, imprecazioni e atteggiamenti mimici più che eloquenti.
Ma, per tornare allo svolgersi del procedimento contro il Biagio, una volta che il dibattimento è stato rinviato per competenza alla suprema corte di Castel Tesino, tutti si avviano, fra schiamazzi, risate e grande confusione, verso la nuova destinazione. Quando vi arrivano è quasi mezzogiorno: nella piazza, di fronte alla chiesa di San Giorgio, è allestito il grande palco sul quale prendono posto i giudici e la giuria. La gente si accalca tutt’intorno mentre, in una via laterale, sono già pronti i pentoloni per la grande ‘bigolada’ finale.
Il processo di Castel Tesino ricalca, per gran parte, quello di Pieve. C’è però un testimone a favore (Nane Narò, beneficiato dal conte) ma, anche dopo la sua deposizione, appare evidente lo stato di colpevolezza di Biagio e, quando viene emessa la sentenza definitiva, il tiranno cerca insistentemente di comunicare con lo sguardo con l’uomo che lo segue fin dal momento dell’arresto a castel Ivano e che, nel frattempo, tenta di corrompere con denaro e gioielli le guardie. Pur se interessati gli armigeri scuotono la testa in segno di diniego ma il loro capitano, accortosi della situazione, arresta il corruttore e lo porta davanti ai giudici che lo processano per direttissima condannandolo all’immediato taglio della mano destra.
Biagio appare sconsolato, la moglie e i due figli piangono rumorosamente. Ma, colpo di scena, approfittando della confusione creata dagli spostamenti dei giudici, Biagio scivola rapidamente fra le guardie e fugge nelle vie interne del paese. Immediatamente la polizia segreta si mette sulle sue tracce ma egli si infila in una casa e scambia le sue vesti con un fantoccio di paglia. Lo stesso fantoccio che sarà di lì a poco trascinato davanti alla corte riunita per la sentenza e che, al pronunciamento della condanna a morte mediante impiccagione ("Noi Supremi Giudici Popolari Inappellabili, in piena nostra scienza, sulla scorta dei paragrafi due e cinque del nostro Statuto, Vi condanniamo alla minima pena, che viene stabilita nella morte mediante impiccagione") rimarrà immobile con il capo piegato in avanti. Mentre i famigliari di Biagio continuano a piangere e supplicano clemenza, la folla comincia a rumoreggiare. Da un piccolo palco di legno dove è pronto un vistoso cappio scendono, accompagnati dalle guardie, due uomini interamente vestiti di rosso con un grande cappuccio in testa: il boia e il suo aiutante. Preso in consegna il conte delle Castellare, essi lo trascinano verso la forca. Nel frattempo, il frate presente sul palco se dapprima aspetta pazientemente e con umile atteggiamento che il condannato si penta dei suoi peccati e faccia testamento, dopo l’ostinato ennesimo rifiuto del conte perde il controllo e, inveendo contro di lui con espressioni poco confacenti ad un rappresentante della chiesa, denuncia pubblicamente gli errori compiuti dalla popolazione nel corso dell’anno.
Passando tra la folla Biagio subisce lo scherno, le beffe e gli insulti di molti Tesini e un testimone tenta anche di infilzarlo con il forcone. Una volta giunti sul patibolo, il capitano delle guardie dà l’ordine di procedere alla sentenza. Biagio viene lasciato penzolare dalla forca fino all’arrivo del dottore il quale, dopo averlo fatto calare a terra, ne certifica il decesso. Dopo che la banda del paese ha avviato la marcia funebre, la salma del conte viene deposta su una barella e accompagnata verso il vecchio municipio del paese. Solo allora il giudice supremo dà ufficialmente avvio alla ‘bigolada’ dopo aver pronunciato la fatidica frase "giustizia è fatta".
Un tempo il carnevale iniziava subito dopo l’Epifania e si protraeva, con feste, balli, danze, allegria e libagioni, fino al mercoledì delle ceneri. Durante tale periodo tutta la comunità ricordava, in una festa dalle antiche origini greche e romane, l’eterno ritorno del ciclo agrario con manifestazioni suggestive e, talvolta, di grande interesse etnografico oltre che storico. Tra le varie rappresentazioni carnevalesche che, tradizionalmente, si svolgono in Trentino, quella del ‘Processo al Biagio’ merita, senza dubbio, uno spazio autonomo. Nel suo procedere essa ripercorre lo schema più frequente delle manifestazioni carnevalesche che vedono il processo, la condanna, il testamento, la morte e il funerale di un personaggio identificabile con il carnevale: un uomo in carne e ossa o un fantoccio.
Se si escludono le edizioni delle quali non è rimasta memoria orale o documentaria, in tempi relativamente recenti - e comunque prima del 1947 quando le fasi del processo vennero codificate con una trascrizione - la celebrazione del ‘Processo al Biagio’ ha segnato, in più occasioni, un importante momento di coscienza e aggregazione sociale.
Osteggiato dalla chiesa anche per il suo scarso rispetto ai precetti di morigeratezza del mercoledì delle ceneri, tra 1928 e 1947 il ‘Processo al Biagio’ venne proibito anche dalla questura di Trento che negò l’autorizzazione al suo svolgersi.
Nonostante il divieto il Biagio continuò ad essere impiccato, pur se in maniera frettolosa e per le vie nascoste del paese, sia durante il periodo fascista che in quello dell’occupazione tedesca. E anche durante la prima guerra mondiale, quando la popolazione era stata trasferita in diverse località della penisola italiana, gli anziani continuarono ad organizzare la loro festa. Come ricorda una testimone orale: "Ereana in Piemonte, a Nizza Monferrato, on giorno me pare e me frei e altri tosi de la so età i s’ha messi te la testa de far on paiazo e picarlo. In pocotempo si ha radunà tutti i tasini i ha fato na forca e i ha picà el Biasgio. Tutta la jente del paese che ne ospitava la s’ha messa a vardarne piena de curiosità, noialtri ghèana anca paura parché no reana visti tanto ben, i ne ciamava Todescazzi. Quela sera però semo restai contenti". E ancora, ricordando le sempre rispettate tradizioni di impiccare il fantoccio nonostante i divieti: "Il conte Biagio lo abbiamo riportato in piazza qui a Castello Tesino, nel 1947, prima lo si faceva di nascosto, i fascisti non lo volevano e anche al prete non piaceva"; "i fascisti non volevano ma ugualmente un gruppo di giovani facevano un pupazzo del conte Biagio e giravano per il paese. Mi ricordo che venivano ad agitarlo sotto le finestre della scuola, in classe c'era una grande agitazione e il maestro ci faceva uscire. Giù di corsa dietro il fantoccio e poi in fretta i giovani lanciavano una corda al lampione e vi impiccavano il conte Biagio, poi via tutti di corsa tra grida e risate"; "i tedeschi nel 1943 no i ne permetea nisuna manifestazion che podese riunir più de do persone, noialtri a ndeana par le strade più sconte del paese, speteana che ghe fose el coprifogo e su on lampion picheana el Biasgio".
In più occasioni la celebrazione del processo al Biagio suscitò la curiosità di viaggiatori e cronisti di Otto e Novecento. Alcuni di loro, anzi, nei loro scritti hanno ricordato la rappresentazione. Tra essi Nepomuceno Bolognini, profondo conoscitore delle usanze e dei costumi della Valle che, nel 1886 descrive il Processo al Biagio come una "baldoria [...] certo istituita a ricordo e abborrimento del tiranno Biagio di Castelnuovo, il quale fece saccheggiare e incendiare quei paesi perché non vollero prendere le armi in favore dei Carraresi, ma rimanere fedeli a Siccone di Caldonazzo: Veda le cronache della Valsugana di quei miseri tempi in cui ogni paesello aveva il suo tiranno e ogni tiranno per suo diletto, faceva ammazzare fra di loro i soggetti che parlavano la stessa lingua e bevevano l’acqua dello stesso torrente".
E le descrizioni continuano con le osservazioni di numerosi altri autori che, di volta in volta, ne parlano come di una "famosa festa", una "mascherata bizzarra", una "solenne protesta della ragione armata contro la prepotenza e la violenza dei despoti", una "mascherata storica e per niente affatto in collisione coi principi della moderna civiltà e meno poi avente sottintesi politici o religiosi", una "pubblica rappresentazione [...] [nella quale] una turba di gente in capricciosa tenuta, parte a cavallo e parte a piedi, gira per le vie e per le piazze del paese, recando gelosamente custodita da militi, una figura d'uomo piena di paglia, che chiamano il Biagio", una "delle più caratteristiche mascherate storiche del Trentino". Tra le testimonianze più recenti quella di Aldo Gorfer che, soffermandosi sugli aspetti storico sociali e folklorici delle genti tesine, dice: "Il processo al Biagio delle Castellare si celebra ogni anno il primo giorno di Quaresima colla partecipazione di tutta la valle. Biagio è l'allegoria del tirannello del Castello di Grigno, dalle prepotenze del quale i Tesini si erano liberati nella seconda metà del XV secolo. [...] Si tratta di una festa folkloristica che ha l'andamento allegorico-didascalico delle sacre rappresentazioni medioevali".
Tra le numerose cronache sulla partecipazione della popolazione alla manifestazione del Biagio, merita di essere menzionata la simpatica descrizione di Lorenzo Felicetti il quale, a inizio Novecento, in un volumetto che successivamente riceverà numerose ristampe, osserva: "Le più strane fogge del vestire si inventavano per quel giorno. Vi erano le uniformi alla napoleonica, confuse con quelle moderne, militari e civili: vi erano divise alla turca alla chinese, da far sbellicare dalle risa chi li vedeva! […] I fantaccini variopinti e con pose ridicolissime, portavano maestosamente arditi ogni sorta di armi antiche e nuove; picche, acce, durlindane, schioppi, tutto roba fina, s'intende! i cavalieri erano montati sopra le peggiori rozze che esistevano in valle; cavalli zoppi, ciechi, magri stecchiti, asinelli spelati, impiagati, mezzo morti, coperti tutti da certe gualdrappe antiche che facevano una comparsa piacevolissima. La musica non mancava. trombe, corni, tamburi, secchi e, padelle, casse di latta, un pandemonio lacerator di ben costrutti orecchi".
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