Il veterinario dei ricci: Massimo e la sua missione in difesa della vita, anche la più piccola e fragile

Nel suo centro di recupero ricci La Ninna, Massimo porta avanti una silenziosa battaglia per la cura e il rispetto di questi piccoli animali troppo spesso vittime della nostra indifferenza. Ma non solo ricci. Perché, per Massimo, ogni vita vale. Anche la più fragile.
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Sara Del Dot 12 Febbraio 2021

“Se trovi un riccio su una strada e noti che ha formato una palla, puoi prenderlo e spostarlo per metterlo in sicurezza rispetto alla carreggiata ma non lontano dal posto in cui vive. Se invece vedi che è ferito, perché è rimasto aperto o c’è del sangue, mettilo in uno scatolone accanto a una bottiglia di acqua calda, dagli da mangiare e da bere e portalo in un centro di recupero per far sì che un esperto si occupi di lui.”

La priorità di Massimo Vacchetta, anche durante una semplice intervista, è quella di spiegare a quante più persone possibili come capire se un riccio si trova in difficoltà e come comportarsi per prendersene cura nel modo migliore.

Imbattersi in un riccio in pieno inverno significa che non è andato in letargo e quindi ha qualcosa che non va e va portato in un centro. Anche se va in giro di giorno potrebbe avere qualche problema e deve essere recuperato. E così anche se si trova un esemplare di meno di 400 grammi, sempre in inverno, perché significa che è un cucciolo e ha bisogno che qualcuno si occupi di lui. Lo scorso autunno c’è stata una cucciolata tardiva nei mesi di settembre e ottobre e quindi tantissimi piccoli sono andati in giro alla disperata ricerca di cibo che hanno faticato a trovare, dal momento che in quella stagione non ci sono molti insetti. Solo in quel periodo ne abbiamo recuperati circa 100. Una cosa che può aiutarli è lasciare loro cibo, le crocchette per gattini vanno benissimo, e acqua. È un aiuto validissimo perché, ricordiamolo, i ricci abitano i nostri giardini.”

Dalla sua clinica e Centro di Recupero Ricci "La Ninna" a Novello, un paesino arroccato sulle Langhe nei pressi di Alba, Massimo oggi dedica tutte le sue forze per aiutare i ricci in difficoltà. E non solo loro. Il veterinario è stato anche uno dei protagonisti del salvataggio di Kasya, la delfina recuperata da un delfinario a Teheran dove era rimasta completamente sola, destinata alla morte, e oggi si batte per impedire l’utilizzo dei macachi nella sperimentazione. Perché per Massimo non esiste una vita che non valga la pena di essere salvata.

“Prima lavoravo con i bovini,” ci racconta. “Per molto tempo ho girato le campagne occupandomi di parti di vitelli, polmoniti e varie problematiche che potessero interessare questi animali. Verso i quarant’anni ho vissuto un periodo personale e professionale molto difficile, in cui mi rendevo sempre più conto che il mio lavoro era duro, faticoso e in un ambiente che mi dava sempre meno. Provavo sempre più fastidio alla vista della sofferenza animale, non ero felice.”

Il momento di svolta Massimo se lo ricorda bene. E la protagonista è una minuscola riccia quasi senza aculei.

“In quel periodo, era il 2013, due volte alla settimana collaboravo nell’ambulatorio di un collega per imparare a gestire i piccoli animali. Un giorno lui parte per il weekend affidandomi lo studio e raccomandandomi di occuparmi di un ospite nello specifico. Mi porta quindi questa scatola da scarpe al cui interno c’è questa piccola riccia. Era un neonato, avrà avuto 2, forse 3 giorni di vita, con gli occhi ancora chiusi e gli aculei cortissimi. Sono rimasto spiazzato, incantato. Considera che ero abituato a trattare con gli animali dai 50 kg in su. Così ho iniziato questa corsa contro il tempo per salvarla, dovevamo darle il latte due volte al giorno. Quella sera sono andato a casa, ma non ho dormito. Nonostante nel corso degli anni avessi sviluppato una sorta di distacco nei confronti della sofferenza animale, all’improvviso era nata in me una compassione fortissima, come se mi si fosse aperto dentro uno scrigno. Ho iniziato a vedere tutta la sofferenza che prima non vedevo, anche nei bovini con cui poi avrei continuato a lavorare per altri tre anni.”

Con il passare del tempo la piccola riccia, battezzata Ninna, comincia a crescere e a stare bene.

“Ho fatto di tutto per salvarla, mi sentivo come un padre. La sua felicità era anche la mia. E ho iniziato a realizzare che forse la mia vera strada era quella di cercare di dare una mano proprio a queste creature, che ai tempi nessuno aiutava più di tanto. Quando è diventata abbastanza grande, ho liberato Ninna in un posto naturale, al sicuro. Anche quella è stata una grande conquista, perché mi sono liberato di quell’egoismo che ti fa sentire felice solo se ti appropri della vita degli altri. Ho provato l’autentica felicità di poter lasciare andare, di poter restituire la libertà”.

Dall’incontro con Ninna qualcosa in Massimo cambia. E dopo qualche tempo decide di aprire un vero e proprio ospedale per ricci, il Centro di Recupero La Ninna dedicato a quegli animali così fragili e così esposti alla sofferenza da necessitare di un luogo in cui sentirsi curati, protetti e soprattutto in cui possano riacquistare la propria libertà. Così, Massimo passa da esercitare una professione a seguire una missione. Oggi la sua clinica e la sua casa sono la stessa, identica cosa.“Ho messo su questo piccolo ospedale che negli anni è cresciuto sempre più. Il primo anno infatti i ricci ospiti erano appena 40, oggi sono oltre 400. Di questi, una sessantina sono ospiti permanenti perché sono vecchi oppure presentano diversi gradi di disabilità, vanno imboccati, aiutati a fare pipì e non possono essere lasciati soli. Infatti non mi assento mai per più di mezza giornata. Loro qui sono protetti e ben nutriti e riescono a vivere anche fino a 8 anni, mentre solitamente un riccio in natura arriva massimo a 3”.

Di base però, La Ninna è un vero e proprio ospedale dove i ricci vengono curati dopo essere stati salvati da situazioni difficili e pericoli che, purtroppo o per fortuna, li hanno portati fin lì. Pericoli che, non è difficile immaginarlo, sono tantissimi.

“L’attività del centro è quella di un ospedale ma anche di ricovero per disabili, perché curiamo questi ricci che arrivano come se fossero stati in guerra, mutilati dai decespugliatori, bruciati vivi assieme alle sterpaglie, avvelenati, ma soprattutto investiti. Ne arrivano tantissimi che sono stati trovati sulle strade, colpiti dalle auto. Oltre 100.000 ogni anno vengono schiacciati, ma molti potrebbero essere salvati.”

E una volta rimessi in sesto…

Quando sono guariti li liberiamo. Cerchiamo di portarli vicino al luogo in cui sono stati trovati se non ci sono pericoli come cani, strade o zone in cui viene praticata la monocoltura intensiva. Quindi luoghi naturali in cui possibilmente sia già presente una colonia di ricci che vivono liberi, non confinati. L’ideale sono fattorie, aree residenziali con tanti giardini, campagne in cui magari qualcuno abbia voglia di lasciare loro delle crocchette. È preferibile che siano zone preboschive con tanti prati e cespugli in cui possano fare il nido per ripararsi, tanti insetti e un corso d’acqua costante.”

 

Un altro aspetto davvero speciale del centro La Ninna, è che si tratta di una realtà nata e funzionante grazie alla forza dei volontari sempre attivi per salvare, recuperare e curare queste creature.

“Noi andiamo avanti grazie alla collaborazione dei volontari e le donazioni di chi decide di sostenere la nostra impresa, che è al tempo stesso una grande famiglia. Riceviamo circa 100 chiamate al giorno nei periodi più intensi, per questo siamo sempre alla ricerca di volontari che vogliano darci una mano con la loro sensibilità. Siccome ci troviamo solo in Piemonte, poi, è nata una chat in cui alcuni volontari sono disponibili h24 per aiutare le persone che trovano ricci in tutta Italia e fanno loro assistenza per capire cosa fare. È un modo per fare rete, per fare in modo che le persone facciano la cosa giusta e portino il riccio che hanno trovato in un centro di recupero così che possa essere seguito da persone competenti. Poi abbiamo creato questa pagina Facebook in cui raccontiamo le storie dei ricci e degli animali per farli conoscere a tutti, perché sono queste storie che permettono di entrare nel cuore delle persone, sono le esperienze drammatiche di questi animali a poter cambiare le cose.”

Esperienze come quella di Antonina, una riccia arrivata al centro in fin di vita in una notte di gennaio.

“L’avevano trovata di giorno, al freddo in un giardino, mezza morta. Era stata recuperata ma chi ce l’aveva non poteva portarcela. Così alle nove di sera una nostra volontaria è andata a prenderla in auto e l’ha portata qui al centro, poi è tornata a casa, si è cambiata ed è andata a lavorare, giusto per farti capire che tipo di persone collaborano con noi. Dal canto suo la riccia aveva una ferita sulla gola e uno spago che le chiudeva il collo come un cappio. Era un banalissimo laccio che sarà scivolato via dal bidone dell’immondizia e che avrebbe fatto morire questo riccio di infezione se lei non si fosse trascinata davanti alla porta di casa per chiedere aiuto, perché loro fanno così, vanno davanti alle porte e chiedono aiuto. Alla fine sono riuscito a liberarla dallo spago, la stiamo nutrendo e ora sta molto meglio. Antonina fa parte di quella enorme popolazione di animali che muore nel silenzio della nostra totale inconsapevolezza.”

E noi? Cosa possiamo fare noi per aiutare queste piccole creature?

Se sai che c’è un riccio nel tuo giardino puoi lasciargli qualcosa da mangiare. Loro si nutrono di insetti ma anche le crocchette per i gattini vanno bene. Lascia dei piccoli buchi nella recinzione, circa 10×10, in modo tale da consentire loro di entrare e uscire senza rimanere incastrati o impigliati. Le barriere che noi poniamo, come muretti o recinti rappresentano per loro un enorme problema. E poi è importante evitare di utilizzare veleni e mantenere i giardini in modo più naturale, lasciar crescere le piante rampicanti, creare aree di fioritura che possano attrarre gli insetti di cui si nutrono… La gente oggi ha un concetto distorto del proprio giardino, lo tratta come se fosse un atelier di Prada dimenticandosi che si tratta di natura e che i fiori e e piante sono necessari per attrarre gli insetti che nutrono non soltanto i ricci ma il mondo intero.”

Credits foto e video: Centro La Ninna