Lago di Baotou, quella grande macchia nera causata dall’hi-tech

L’ecomostro di Baotou ci dimostra che per non perdere i guadagni del mercato delle nuove tecnologie, non ci pensiamo due volte a compromettere la natura che ci circonda. Ma come si è arrivati alla formazione di un “lago” nero lungo 11km formato da liquami di scarto tossici?
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Rubrica a cura di Beatrice Barra
26 Giugno 2023

Se apri Google Maps e guardi con attenzione, nella striscia di terra al confine tra la Cina e la Mongolia puoi trovare una grande macchia nera che dipende dallo smartphone che tieni in mano. É il lago artificiale di Baotou che si è creato dopo decenni di incuria da parte dell'uomo. Chiamarlo lago, però, non è propriamente giusto: è una discarica a cielo aperto che è stata alimentata per moltissimo tempo da liquami provenienti dalle fabbriche siderurgiche che producono i materiali usati per realizzare cellulari.

Fonte: Google Earth

Storia del lago

Come abbiamo detto, pur avendo una lunghezza di ben 11 km (più o meno quanto il nostro Lago di Bracciano), in realtà non è un vero lago. Pensa che poco più di 60 anni fa questa macchia nera non esisteva nemmeno. Fino agli anni ‘50 infatti questa terra era tappezzata di campi agricoli, dove si coltivavano melanzane, pomodori e angurie. Poi però qualcosa si è spezzato.

Nel sottosuolo di Baotou sono stati trovati minerali preziosi e da quel momento questo villaggio rurale è entrato nel mirino delle industrie minerarie. Che oggi lo hanno reso un “inferno industriale”, in cui regnano acque nere, nubi tossiche e piogge acide. Ma come siamo arrivati a questo punto?

Le cause: terre rare e hi-tech

Il disastro ambientale che stiamo vedendo è dovuto allo sfruttamento delle “terre rare” ritrovate a Baotou. Le “terre rare” non sono terre, sia chiaro.

Fonte: Wikimedia Commons

Il termine fu coniato nel 1787 da un ufficiale svedese, Carl Axel Arrhenius, che un giorno scoprì una roccia mai vista prima – il termine scientifico per descrivere le rocce all’epoca era proprio “terra” -, da cui vennero estratti dei metalli particolari, che oggi sono riconosciuti come i 17 elementi chimici detti appunto “terre rare”. Queste non sono assolutamente rare, anzi, sono relativamente abbondanti nella crosta terrestre.

Fonte: Peggy Greb, US department of agriculture /Wikimedia Commons

A cosa servono? Be’, le “terre rare” si sono rivelate fondamentali per evolvere le nostre tecnologie e avviare la transizione energetica. Sicuramente ti starai chiedendo in che modo.

Le terre estratte a Baotou vengono utilizzate per la realizzazione di componenti di smartphone, batterie e tv LED. Sono anche alla base dei motori delle macchine elettriche e delle turbine delle pale eoliche, simboli dell’industria green.

La questione energetica però ci dovrebbe far riflettere: da un lato le energie rinnovabili sono la chiave per diminuire l’inquinamento dell'industria fossile, dall’altro dobbiamo sapere che la produzione di questi materiali sta creando inquinamento altrove, a volte lontano dai nostri occhi, in posti remoti come Baotou.

Batou: il prodotto di processi di lavorazione altamente inquinanti

Nella lavorazione delle terre rare vengono utilizzati prodotti altamente tossici: per isolare i singoli metalli, questi devono essere disciolti con acidi come l’acido fluoridrico e l’acido solforico. Il risultato è la produzione di liquami di scarto che inevitabilmente penetrano il suolo del “lago”. La sua colorazione scura è causata dalle enormi quantità di acque reflue nere che sono state riversate per decenni in questa conca con conseguenze disastrose per il vicino Fiume Giallo, fonte di acqua per 150 milioni di persone.

Tra i territori a rischio, la terra di Baotou è già malata: in un’intervista rilasciata dalla BBC, i residenti hanno dichiarato di soffrire di nausea, svenimenti ed emicranie e i campi coltivati, che c’erano un tempo, non esistono più.  Questo perché le fonti idriche di Baotou sono ormai contaminate da materiali tossici che hanno ucciso il suolo e che possono provocare, in casi peggiori, leucemie e tumori a pancreas e polmoni.

Fonte: BMacZero/ Wikimedia Commons

Non credere però che tutto questo stia succedendo solo a Baotou: alcune zone del Sudafrica e del Brasile presentano gli stessi sintomi di questa terra avvelenata dalla ricerca di terre rare. Al momento però, la Cina è il primo esportatore al mondo, producendo circa il 95% della fornitura mondiale, anche se il suo territorio contiene solo il 30% di terre rare al mondo.

Ma se gli altri Paesi hanno le stesse risorse, perché la Cina è il leader mondiale di questo mercato? Innanzitutto, perché il costo della manodopera qui è da sempre più basso. Ma, soprattutto, le terre rare si estraggono a Baotou perché per decenni è stato possibile inquinare a piacimento, senza una vera regolamentazione da parte del governo. Un segnale di cambiamento negli ultimi anni c’è stato, ma siamo ancora lontani dal risolvere la questione.

Le possibili soluzioni

Nel 2016 la Cina ha pubblicato un documento per la protezione ambientale di luoghi come Baotou: rafforzando gli standard ambientali e bloccando nuovi progetti altamente inquinanti, sarà possibile diminuire l’impatto ambientale dell’estrazione delle terre rare. Purtroppo però sembra più facile a dirsi che a farsi. Infatti, la prima raffineria a creare questo inquinamento è la Baotou Steel Company, un’impresa siderurgica di proprietà statale.

Se ciò non bastasse, sono anche sorte attività estrattive illegali che scaricano i rifiuti direttamente in natura, provocando danni irreparabili. O meglio, secondo un’indagine dell’istituto “National Geological Experiment and Testing Center”, portando avanti una bonifica di questi territori ci vorrebbero comunque dai 50 ai 100 anni affinché l’ambiente possa ritornare al suo stato originale.

Non esiste altro modo per estrarre questi materiali?

In realtà sì: una soluzione potrebbe essere il recupero delle terre rare dal riciclo dei rifiuti esistenti piuttosto che con nuove attività estrattive. In questo modo potremmo anche ovviare al problema dell’accumulo dei RAEE, ovvero i rifiuti elettronici.

Prendi gli smartphone ad esempio, ogni anno esce un nuovo modello e la quantità di dispositivi elettronici obsoleti è diventata preoccupante: solo l’1% dei rifiuti elettronici viene riciclato, il resto – che è un numero bello grande – si abbandona nelle discariche.

Cosa dobbiamo imparare da Baotou

A distanza di 7 anni da quella proposta governativa, il “lago” è ancora nero, ben visibile dal satellite e gli scarichi delle raffinerie continuano a pompare liquidi tossici nel terreno. La Cina sta attualmente alzando i prezzi delle terre rare, incentivando l’utilizzo in territorio nazionale rispetto all’esportazione estera. Ciò significa che servirà guardare altrove per soddisfare i nostri bisogni ultra tecnologici. In Spagna, ad esempio, nel 2013 il gruppo ambientalista “Sí a la Tierra Viva” ha portato avanti un’intensa protesta contro un progetto di estrazione di terre rare. Il governo spagnolo ha ascoltato la comunità e ha respinto il progetto per incompatibilità con la conservazione della biodiversità e del patrimonio culturale e naturale della zona. Ma non è stato così ovunque.

L’ecomostro di Baotou esiste a causa dei guadagni del mercato delle nuove tecnologie, che grazie alle terre rare possono essere sempre più veloci e performanti, a costo di compromettere  la natura che ci circonda. Abbiamo di fronte un disastro ambientale dovuto all’incoscienza dell’uomo, perché la costante attività mineraria ha sì portato alle stelle l’avanzamento tecnologico dei nostri Paesi, ma qualcuno ne sta pagando il caro prezzo con tonnellate di scarti tossici. Quello che emerge da questa vicenda è che l’uso etico delle terre rare è fondamentale per attenuare questo paradosso. E magari così riusciremo a mettere al centro l’idea di un mondo tecnologico e moderno, ma allo stesso tempo pulito e sicuro, ovunque.

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Polentona acquisita e curiosa instancabile. Sono a Milano dal 2016 e scrivo per passione da quando ho cinque anni. Amo il altro…