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Processo Pifferi, l’avvocata interroga lo psichiatra della perizia: “Mai negato l’istinto materno di Alessia”

Nell’udienza del processo su Alessia Pifferi di oggi venerdì 15 marzo si sta tenendo l’interrogatorio al medico Elvezio Pirfo che, tramite una perizia psichiatrica superpartes, ha ritenuto l’imputata capace di intendere e di volere quando ha abbandonato la figlia di 18 mesi per giorni causandone la morte per stenti.
A cura di Giorgia Venturini
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Fonte: Fanpage.it
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Oggi in Tribunale a Milano è la volta dell'interrogatorio al medico Elvezio Pirfo, ovvero chi ha eseguito la perizia psichiatrica su Alessia Pifferi giudicandola, al termine di più incontri, capace di intendere e di volere quando ha lasciato sua figlia di 18 mesi nella sua abitazione nel Milanese a luglio 2022. In quei sei giorni, l'imputata aveva raggiunto il compagno dell'epoca a Legge, nella Bergamasca. Pifferi sta affrontando il processo che la vede accusata della morte della piccola e Pirfo, dopo aver già presentato davanti ai giudici della Corte D'Assise i risultati della perizia, ha risposto alle domande dell'avvocata della difesa Alessia Pontenani. Il pubblico ministero Francesco De Tommasi ha deciso di non interrogare il medico, ma ha rivolto alcune domande a Marco Garbarini, consulente psichiatrico della difesa.

L'interrogatorio dello psichiatra Elvezio Pirfo

L'avvocata Alessia Pontenani: "I vissuti di deprivazione affettiva nei confronti di Alessia Pifferi (madre e problemi con padre, dedito a sostanze alcoliche e tentato suicidii), confermano un'assenza di figure di riferimento e amicizie tra pari?".

Lo psichiatra Elvezio Pirfo: "Il termine confermare mi lascia in dubbio, io non posso confermare nulla, certamente questa è narrazione soggettiva di Pifferi. Vissuti fondamentali nella ricostruzione identitaria che il soggetto ci propone, non che noi oggettiviamo". E ancora: "Questa deprivazione socio affettiva, non è però qualcosa che manca: possono essere legami distruttivi, ma ci sono. Quello che emerge dal suo racconto è mancanza di punti di riferimento, non legami. Non ha avuto la partecipazione affettiva che desiderava, questo emerge dalla sua narrazione".

L'avvocata: "Le esperienze traumatiche, tra cui violenza assistita e psicopatologia del padre potevano far insorgere disturbi mentali?".

Lo psichiatra: "I disturbi mentali sono a causa multifattoriale, certamente giocano componenti genetiche ma tutti gli studi dimostrano che addirittura una parte del nostro corredo genetico si modifica in funzione degli eventi esterni. Quindi non credo che né io né altri possiamo collegare uno o due eventi all’insorgere di un disturbo. Deprivazione descritta può aver portato conseguenze, ma nel vissuto emotivo, non necessariamente nello stato mentale. Quello che possiamo fare noi è citare gli elementi descritti da Alessia Pifferi per la ricostruzione di un’identità, non di un disturbo. Tra l’altro ci sono passaggi della vita dell'imputata in cui lei dimostra grande resilienza, non molla mai. Quindi secondo me questo tratti non hanno generato un disturbo ma ne hanno generato un profilo di personalità".

Lo psichiatra Pirfo poi ribadisce quanto già scritto nella perizia: "A mio avviso emergono due aspetti clinici, da una parte dipendenza dall’altra la (non sono riuscita a sentire parola), quindi solo due tratti. La tendenza alla dipendenza non configura direttamente il disturbo. La necessità dell’accudimento e di dover essere protetta è indiscutibile, ma questo non implica un disturbo. Anche nello sposare uomo più anziano (30 anni più ndr) risponde a un bisogno, ma poi Pifferi ha fatto la moglie, non la figlia, come dimostrano anche le gravidanze, seppure interrotte. Se avesse avuto un disturbo dipendente di personalità non sarebbe stata in grado di stare in un matrimonio. Invece, nonostante la fine del rapporto, l'imputata ha inseguito questo tipo di legame con altre persone".

L'avvocata: "Visto tutto il racconto clinico, lei ritiene che non preoccuparsi di trovare un medico o un lavoro, aver vissuto sempre con genitori o marito, non dimostrino un disturbo dipendente della personalità?".

Lo psichiatra: "Nell’elenco di fattori fatto ci sono cose che non possono essere riportate a una dipendenza. Per esempio il lavoro. Averlo è anche un elemento di forte identità ma averlo o non averlo non c’entra niente con disturbo affettivo di personalità. Ribadisco, posso avere caratteristiche del disturbo, ma non disturbo stesso e questo ha a che vedere con quanto l’insieme degli aspetti presenti inficino sulla vita reale, concreta, non sul vissuto emotivo". E ancora: "Se ci fosse un disturbo dipendente di personalità noi ci troveremmo di fronte a una persona incapace di andare oltre il primo legame. Per esempio nei casi di femminicidio alle donne vittime accade spesso di esserne affette e di non essere quindi in grado di separarsi dal partner violento. Ma Pifferi ha sempre ricercato nuovi legami nel tentativo di rispondere a un bisogno: essere protetta".

L'avvocata: "Però la Pifferi ha raccontato di avere un rapporto disfunzionale sia con il suo ex marito sia con un nuovo compagno, entrambi violenti".

Lo psichiatra: "Le donne vittime di violenza sono incatenate nel rapporto, Pifferi si separa dal marito. Poi Pifferi non ci ha riportato episodi di violenza di genere, quanto un vissuto emotivo da lei percepito come violento".

L'avvocata: "Quindi secondo lei la dipendenza – il fatto che avesse paura che il suo compagno l’abbandonasse – non può aver influito sull’agito di Pifferi?".

Lo psichiatra: "Il tratto di dipendenza, insieme a quello della non empatia, credo che vadano utilizzati come elementi criminogenici, cioè che abbiano influito sull’agito criminoso, ma non credo che siano elementi che determinano la presenza di un disturbo mentale. I due criteri riscontrati nella pifferi sono dipendenza e alessitimia. Quest'ultima, ovvero la difficoltà di una persona a trovare empatia, non è una malattia, è un sintomo. È una condizione che ci fa vivere come schermati dietro un vetro, è uno schermo emotivo, ma non configura di per sé una malattia. Io non ho mai pensato di negare che Pifferi avesse un istinto materno, sarebbe un giudizio morale, ho solo constatato che prevale in lei la dimensione della donna rispetto a quella della madre".

"Io non ho mai pensato di negare che Pifferi avesse un istinto materno, sarebbe un giudizio morale, ho solo constatato che prevale in lei la dimensione della donna rispetto a quella della madre".

L'avvocata: "Perché non si parla di disabilità intellettiva?"

Lo psichiatra: "Non ci sono alterazioni che riconducano a una disabilità intellettiva. Ci sono da un punto di vista psicologica. Non è che lo dico perché penso che il test Wais-R in carcere non è attendibile (e non lo è), ma quello che nega tale disabilità è il funzionamento della persona. È l’osservazione clinica, non test che determina disabilità o meno".

L'avvocata: "E insegnante di sostegno?"

Lo psichiatra: "Manca una documentazione sanitaria. Quando si ha l'insegnante di sostegno, presenza nelle scuole da ormai 40 anni, c’è un percorso prima con un medico del servizio pubblico che certifica la presenza di una disabilità. Così si determina la necessità del sostegno. Io non sono in grado di confermare che insegnante di sostegno fosse per disabilità intellettiva e non per esempio disabilità psicologica".

"Dopo anche i test è stata confermata la valutazione clinica, cioè quella di un soggetto che non ha una disabilità intellettiva. Io credo che questa vicenda umana sia così dolorosa che possa indurre atteggiamenti da un lato non attribuibili al prima ma nemmeno trascurabili. Amplificare o omettere, da parte di Pifferi, non sappiamo se sia o meno intenzionale".

Le domande a Marco Garbarini, consulente psichiatrico della difesa

Nel corso dell'udienza, l'avvocata Pontenani ha chiesto a Marco Garbarini, consulente psichiatrico della difesa, le risultanze della perizia.

Il consulente: "Se esaminiamo il risultato della batteria psicometrica, i risultati test hanno evidenziato una compromissione cognitiva tale da giustificare la diagnosi effettuata dalle psicologhe del carcere di disturbo dello sviluppo intellettivo. Questo sulla base dei punteggi ottenuti dai test, specificando come questa compromissione fosse soprattutto riguardo ad abilità esecutive, cioè di ragionamento, previsione e organizzazione, di cognizione empatica. Le compromissioni sono tali da giustificare una menomazione di funzionamento per Pifferi in tutta la sua vita, anche per le difficoltà che ha avuto in ogni ambito della sua vita".

"Per quanto riguarda l'attendibilità, il primo strumento per valutare una presunta disabilità cognitiva, dopo l'osservazione del soggetto, è la somministrazione di test, cosa che è stata fatta dalle psicologhe dopo aver visto alcune difficoltà nel pensiero di Pifferi".

"Riguardo al test Sims, il problema è che non può essere fatto con persone che hanno compromissione cognitiva e tutti i dati che avevamo la confermavano. Con un soggetto di questo tipo, sarebbe stato come gettare una moneta e vedere se esce testa o croce. Questo ha come effetto la produzione di un numero enorme di falsi positivi e identifica due terzi dei pazienti con oggettiva compromissione clinica come soggetti che ‘enfatizzano'. Le risposte date da Pifferi ai test potrebbero essere state simulate solo da una persona che ha un dottorato di ricerca in neuro scienza e sono coerenti con quello che è un quadro genuino".

"Pifferi fino a quando deve usare ragionamento viso-percettivo ce la fa, quando invece diventa più complesso no. Queste condizioni non si diagnosticano semplicemente con il colloquio clinico. Comprende le domande ma dobbiamo anche valutare la qualità delle sue risposte, che è da disco rotto, con la ripetizione delle stesse modalità espressive".

L'avvocata: "Dove non vediamo la compromissione del funzionamento nella vita di Pifferi?".

Il consulente: "Ha sempre avuto un funzionamento menomato. L’assenza di empatia è proprio dettata dal disturbo cognitivo di base. Con questo tipo di disturbo cognitivo una persona non è in grado di rappresentare i bisogni delle altre persone. La funzionalità di Pifferi è da inserire in un disturbo dello sviluppo intellettivo e quindi in una patologia psichiatrica. Questo spiega e giustifica i suoi comportamenti".

Anche il pm Francesco De Tommasi rivolge alcune domande a Garbarini.

Il magistrato: "Ritiene che esito test Wais-R sia attendibile?"

Il consulente: "Sì, perché è stato eseguito con finalità clinica, non medico forense. Questo ne diminuisce la precisione formale ma non lo rende inattendibile, dà comunque chiare indicazioni. Se il suo Qi poteva risultare 40, magari era 50, ma non 130".

Il magistrato: "Perché Pifferi funziona male? Sulla base di quali dati?"

Il consulente: "A livello sociale, lavorativo e affettivo. Anche l'esame psichico, nel corso dei colloqui fatti, mette in evidenza un pensiero povero e concreto".

Al termine dell'udienza, l'avvocata Pontenani ha dichiarato la sua intenzione a depositare la lettera di don Agostino Brambilla, il parroco che aveva sposato Pifferi nel 2014. Il pm De Tommasi e la parte civile, però, chiedono non venga acquisita agli atti in quanto proveniente da soggetti esterni. La lettera è stata comunque acquisita. La prossima udienza si terrà il 12 aprile, mentre in quella del 13 maggio terminerà la discussione e potrebbe arrivare la sentenza.

Ha collaborato Chiara Daffini 

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