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Dal Sud al Nord Italia per essere curati, i migranti sanitari: “Ci si sente più soli davanti alla malattia”

La migrazione sanitaria coinvolge oltre un milione di italiani, tra pazienti e familiari, spesso in viaggio da Sud a Nord per ricevere cure. Abbiamo raccolto le testimonianze di alcuni di loro, ospiti negli alloggi messi a disposizione da Casa Amica onlus.
A cura di Chiara Daffini
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Percorrere centinaia di chilometri per trovare una cura. Lasciare il lavoro, la casa, gli affetti ed essere soli, in un luogo sconosciuto, nel momento della malattia. È la sorte di migliaia di italiani, per lo più residenti nelle regioni del Meridione.

I numeri della diseguaglianza

Secondo l'ultimo rapporto Svimez (1 febbraio 2024, "Un Paese, due cure") , nel 2022 dei 629 mila migranti sanitari (volume di ricoveri), il 44 per cento era un cittadino del Sud Italia. Nell'ambito delle patologie oncologiche, sempre nel 2022, 12.401 pazienti meridionali, pari al 22 per cento del totale dei pazienti, si sono spostati per ricevere cure in un Ssr del Centro o del Nord.

Tra i motivi ci sono sicuramente servizi di prevenzione e cura più carenti al Sud, dove minore è la spesa pubblica sanitaria e più lunghe le distanze da percorrere per ricevere assistenza, soprattutto per le patologie più gravi.
Dati alla mano – quelli forniti dal registro dei Conti Pubblici Territoriali riferiti al 2021 – la spesa sanitaria pubblica media in Italia è di 2.140 euro a cittadino, ma in  Calabria si arriva solo a 1.748 euro, 1.818 euro in Campania, 1.941 in Basilicata e 1.978 euro in Puglia.

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Malati e distanti da casa

Fanpage.it ha incontrato alcune persone che hanno dovuto risalire l'Italia per curarsi a Milano.

"Mi trovo qui perché accompagno mio marito, che è un malato oncologico – racconta Nunziatina Corrieri -. Siamo di Messina, ma lì la situazione non è stata capita. È stato ricoverato a Milano e quando ha cominciato la chemio, ha chiesto se era possibile farla a Messina e salire soltanto per le visite e i controlli. Solo che nella nostra città e nelle zone limitrofe nessuno conosceva il farmaco prescritto. Poi alla fine una dottoressa ci ha detto testuali parole: ‘La Regione Sicilia non lo ritira perché costa molto‘".

Anche Maria Falcone è siciliana. "Vengo dalla provincia di Caltanissetta, sono qua con mio marito e lo assisto, perché ha un tumore. A casa abbiamo provato, ma nessuno ci dava un'informazione giusta e quindi siamo partiti per Milano".

Riccardo invece arriva dalla Sardegna. "A giugno dell'anno scorso – racconta a Fanpage.it – ho iniziato a sentirmi male. Sono stato ricoverato a Cagliari per una gastroenterite molto forte, che però non sembrava solamente gastroenterite: nel giro di dieci giorni ho perso dieci chili. Sono finito al pronto soccorso. Lì sono stato rimbalzato per tre volte, alla terza volta mi hanno ricoverato perché stavo entrando in insufficienza renale, a 35 anni. E alla fine mi è stato detto proprio da un medico ‘Deve andare fuori dalla Sardegna, perché qua c'è qualcosa di raro'. Ancora oggi sono senza una diagnosi univoca, qui a Milano mi hanno prescritto delle analisi genetiche e spero finalmente che si dia un nome a tutto questo".

Il salotto di Casa Amica
Il salotto di Casa Amica

Una casa lontano da casa

Nunziatina, Maria e Riccardo sono ospiti di Casa Amica onlus, un'associazione nata a Milano nel 1986 per prestare accoglienza a chi deve curarsi lontano dalla propria città. Oggi le "case amiche" sono sei, quattro nel capoluogo lombardo, una a Lecco e una a Roma.

"La migrazione sanitaria è un grande contenitore – spiega a Fanpage.it Stefano Gastaldi, direttore di Casa Amica -. Parliamo di fenomeno che ha numeri da capogiro, perché tra pazienti e accompagnatori si supera il milione di persone all'anno che vengono coinvolte. Noi accogliamo più di 300mila cittadini e cittadine italiani ogni anno e ci rivolgiamo soprattutto alla fascia caratterizzata da una complessità maggiore, dove ci si sposta perché a rischio è la vita, perché nel proprio territorio non si ha una risposta di cura adeguata. Prevalentemente gli spostamenti vanno dalle regioni meridionali a quelle settentrionali. Dice come funziona o come non funziona la sanità italiana.

"Oltre alla malattia grave – continua Gastaldi – dove a rischio spesso è la vita, si aggiunge una complessità ulteriore, per esempio il problema del lavoro e il problema sociale. Le nostre case sono davvero delle grandi famiglie, dove chi si trova nella stessa situazione può ascoltarsi e confrontarsi, con il supporto di volontari e operatori specializzati".

"Per quanto riguarda i costi, spesso difficili da sostenere per famiglie già provate, Casa Amica indica chi può, un contributo che va dai 14 ai 18 euro (a notte). Per chi non può interviene con progetti particolari: abbiamo un 20- 25 per cento di gratuità.

Un aiuto anche a chi aiuta

"Oltre alla preoccupazione per le condizioni di mio marito – spiega Nunziatina a Fanpge.it – ho dovuto affrontare tanti altri problemi. Innanzitutto la distanza: da Messina a Milano non sono proprio due passi. All'inizio eravamo soli tutti e due qui a Milano, con una malattia nuova. Salire e lasciare la casa, mio marito che stava male. Nel primo periodo siamo stati in albergo, ma era una situazione molto triste, poi ci hanno parlato di questo centro e siamo arrivati a Casa Amica. Adesso, dopo tanti anni, effettivamente io la sento la mia casa di Milano".

L'accesso a Casa Amica avviene di solito con l'intermediazione delle associazioni o con il passaparola: non c'è una selezione, chi ha bisogno viene accolto. "Non è facile coprire tutti i costi – dice Maria – ho dovuto sospendere il lavoro per assistere mio marito. Qui a Casa Amica ci siamo trovati benissimo, ma la prima esperienza in albergo non è stata delle migliori, perché mi sono trovata da sola, era il periodo di fine Covid, quindi ho dovuto lasciare mio marito in ospedale senza poterlo vedere. È stato brutto. Se fossi stata qua avrei trovato degli amici. Servirebbero anche da noi strutture per curarsi al meglio, è questo che ci manca a noi al Sud".

"Io – aggiunge Riccardo – contrariamente agli altri, non posso dire che qua in un secondo si è arrivato a capire che cos’ho. Però a Milano mi hanno detto di indagare sul fattore genetico".

Non solo dal Sud

A Casa Amica arrivano anche persone non residenti troppo lontano da Milano, ma bisognose di restare vicino all'ospedale. "Vengo da Torino – racconta a Fanpage.it Paolo Gai – e ho avuto una diagnosi di sarcoma dieci mesi fa".

"Mi trovo qua – continua Paolo – perché finalmente mi hanno operato: ho subìto un intervento abbastanza invasivo, ho scelto di rimanere qua per evitare complicanze e avere un supporto presso l'Istituto Tumori nell'imminenza dell'intervento e delle dimissioni.

"Meno male – conclude – che ci sono queste strutture, perché altrimenti per noi pazienti sarebbe veramente più complicato di quello che già è".

Riccardo ci racconta la sua storia
Riccardo ci racconta la sua storia

La cura è vita

Che cosa significa non avere subito accesso a cure e diagnosi lo lasciamo raccontare alla storia di Riccardo. "Non mi sto facendo inquadrare – ci dice dopo averci chiesto di tenere la videocamera bassa -, perché dopo tutti i chili persi non riconoscermi più allo specchio, quando sono sempre stato un ragazzo atletico, è una cosa che a livello psicologico su di me ha influito tantissimo".

"Ora sono qui da solo perché mi hanno dato gli antibiotici e mi sento un po' più in forze, ma nei giorni scorsi c'era mio padre. Alloggiava con me a Casa Amica, usciva a fare la spesa e mi preparava da mangiare, perché io se non prendo medicinali fatico ad alzarmi dal letto. È frustrante a 36 anni vedere tuo padre di 70 che ha più forza di te. In genere a 36 anni sei tu che assisti tuo padre, non il contrario".

Una sofferenza a cui si aggiunge il problema del lavoro: "Nei primi sei mesi sono stato in malattia; non risolvendosi la situazione ho dovuto chiedere l'aspettativa, sempre per malattia, che però dura due mesi. Poi ho chiesto l'aspettativa normale, ma quella è a discrezione dell'azienda e la mia non me l'ha concessa. Per loro sarei dovuto rientrare il primo marzo, ma sono ancora qua, quindi adesso mi ritrovo in procinto di essere licenziato. E anche questa è una cosa, a 36 anni, particolarmente difficile, perché dovrò tornare a casa dei miei genitori e ricercare un lavoro, quando ce l’avevo a tempo indeterminato e mi stavo per comprare una casa".

"Nonostante tutto – conclude Riccardo -, da questa esperienza ho capito che davvero la cosa più importante è la salute: con quella potrò cercare di reinventarmi, per questo la voglio indietro, voglio la mia vita indietro".

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