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Maurizio De Giovanni: “C’è un’emergenza culturale, non possiamo combatterla con la militarizzazione”

Maurizio De Giovanni ha parlato a Fanpage del lavoro di avvicinamento alla lettura che sta facendo con Campania legge – Fondazione Premio Napoli.
A cura di Francesco Raiola
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Maurizio De Giovanni è uno scrittore che difficilmente si tira indietro di fronte a domande e interviste, ma non per brama di visibilità, piuttosto perché è uno di quelli che non sanno dire no. Lo spiegava in quest'intervista registrata poco prima che decidesse di cominciare a dire no, prima del post in cui annunciava di voler fare un passo indietro, contro tutti quelli che scambiano la gentilezza per la brama di visibilità. È argomento caldo, ma lo è sempre stato, perché De Giovanni è uno scrittore prolifico, di successo, i cui libri diventano film, serie, spettacoli teatrali, tifoso del Napoli al punto da essere spesso chiamato in causa per dire la sua, generoso quando si tratta di presentare libri e manifestazioni e da qualche mese è anche il Presidente dell'ex Premio Napoli, che ha cambiato nome in Campania legge – Fondazione Premio Napoli, cercando di ampliare la portata di questo progetto. Non solo un premio letterario, ma l'idea è proseguire e ampliare l'impegno di portare la Cultura quanto più in là possibile. Gli abbiamo chiesto di raccontarci questa idea, ma anche di raccontarci la sua scrittura.

Come sono stati questi primi mesi di impegno Campania legge – Fondazione Premio Napoli?

Non sono stati mesi facili, ma non per resistenze o per problematiche particolari, quanto proprio per impiantare il lavoro che volevamo fare: fronteggiare l'emergenza culturale. Abbiamo un problema gravissimo che riguarda gli indici di lettura, soprattutto per quanto riguarda le nuove generazione, che impattano pesantemente sul futuro. Il lavoro che abbiamo scelto di fare è difficile e parte da un censimento, vogliamo capire innanzitutto quali sono le associazioni che promuovono la lettura sul territorio regionale. È un tipo di lavoro che non è mai stato fatto, non è mai stato tentato un discorso di rete, sistematico e pur lasciando, chiaramente, la piena indipendenza a tutti e la massima autonomia per quanto riguarda l'operatività, vorremmo coordinarli, mettere a disposizione delle attività, per esempio di comunicazione. Siamo partiti bene, abbiamo stipulato un importantissimo accordo con l'Ufficio scolastico regionale che ci consentirà di avere le scuole come immediato partner nelle attività sul territorio, ma non ci sono queste, perché con i dati di dispersione scolastica che abbiamo, lavorare solo sulle scuole vorrebbe dire dichiararsi già perdenti.

E come si arriva a chi a scuola non ci va?

È questo il problema, noi abbiamo una dispersione scolastica record, credo sia la massima sul territorio nazionale e ai vertici di quello europeo, anche perché l'area metropolitana di Napoli è la più densamente popolata d'Europa. Napoli è una grande capitale del sud del mondo, come San Paolo, Buenos Aires, Atene e Istanbul, quindi ha delle zone di grande degrado soprattutto dal punto di vista culturale – non solo, ma soprattutto – su cui si deve operare. Perciò intendiamo lavorare su questo e farlo con molta forza: ovviamente non siamo un ente istituzionale, non abbiamo, quindi, capacità economiche e non vogliamo averne, non vogliamo diventare un ente finanziatore dell'attività di promozione culturale, vogliamo stimolare la produzione culturale e soprattutto metterle in rete.

Come riesci a impegnarti in questo nuovo ruolo nonostante i tanti impegni che hai?

Le persone anziane dormono poco (ride, ndr). Scherzi a parte, ho dei collaboratori straordinari, percepiamo la situazione di emergenza, ognuno di noi si rende conto di questo e capisce che dobbiamo lavorare in questo senso.

In che modo possiamo legare il lavoro che avete intenzione di fare con tutta l'emergenza di cui parlavi?

È di tutta evidenza che moltissime aree, sia metropolitane che della Campania, risentano di una identità non culturale, un modo identitario di porsi e questo comporta un pericolo enorme, quello di creare un noi e un loro, ma non è così. Io ho sofferto molto per l'omicidio di Giovanbattista Cutolo, ho sofferto molto perché era un ragazzo dolce, meraviglioso, un artista, un musicista. Ma non è che se fosse stato un ragazzo con precedenti penali, la cosa sarebbe stata diversa, non dobbiamo entrare nell'ordine di idee che ci siano due eserciti contrapposti, se facciamo passare questo messaggio perdiamo, perché compariamo un'identità a un esercito nemico che non è nemico, ma che esiste sul nostro stesso territorio.

E come possiamo combattere questa deriva?

La cultura è l'unica arma che abbiamo. La militarizzazione del territorio, di cui pure si parla, è come curare una broncopolmonite soffiandosi il naso, cioè tu combatti il sintomo, non la causa della malattia. Un'operazione militare non è culturale, l'azione culturale ti cambia la mentalità, quindi va bene l'azione di polizia, se coordinata con il miglioramento delle strutture scolastiche, dell'edilizia scolastica, se raddoppi e paghi meglio gli insegnanti, se mandi gli assistenti sociali, se l'assistente sociale che trova un problema può alzare il telefono e chiamare le forze dell'ordine che intervengono immediatamente. In uno stato civile così si combatte l'emergenza culturale.

Napoli è una città che drena tantissima forza lavoro cinematografica: si può incrementare il lavoro sui mestieri del settore?

Identifichi una mia vecchia battaglia personale. Napoli è la città più raccontata d'Italia: moltissime fiction e tantissimi film sono girati a Napoli, perché la città ha un'identità culturale che è peculiare. che gode di una classe d'attori di vertice. La gran parte delle produzioni, però, porta i tecnici da fuori, pagando di più, quindi avrebbero interesse economico a trovare un certo livello di specializzazione qui: non dovrebbero pagare la logistica, spendono tanti soldi in alberghi, trasferimenti etc, se noi riuscissimo, per una volta, a fare sistema tra noi e creare una scuola di Cinema di alto livello per sceneggiatori, ma soprattutto per tecnici, per direttori della fotografia, per costumisti, per scenografi, sarebbe di enorme valore. Sarebbe bellissimo che i progetti più volte annunciati a livello istituzionale andassero a buon fine, anche se sono del parere che le cose dobbiamo farcele da soli, sono contro l'attesa del miracolo istituzionale, anche perché quest'aiuto non arriva. Io sono convinto che un'operazione forte, fatta da noi, sarebbe molto più utile.

Come è cambiata la tua routine quotidiana, anche a livello di scrittura?

La parte della scrittura è la mia vacanza, è la parte più bella, più divertente, quella in cui incontro i miei personaggi ricorrenti perché scrivendo serie mi capita di rivederli e mi piace tanto. Devo dirti che non mi aiuta molto questo fatto di farmi carico di altre cose, anche perché io non ho cariche ma incarichi, che mi piace avere perché sono innamorato di questa città. Non farò mai politica, rassicuro tutti su questo, non mi presenterò mai a nessun tipo di elezione, non è il mio lavoro e non lo voglio fare, ma nemmeno voglio andare via da qua che non ti nego che vengo sollecitato a farlo ogni tanto, per lavoro, però io voglio stare qui e voglio vedere questa città bella com'è, non voglio che prevalga la parte buia, che c'è e ci sarà sempre, ma se possiamo ridurla e se possiamo salvarci tutti insieme, perché non provarci?

La visibilità che ti sei conquistato con i libri ha lati positivi e negativi: quello negativo è il lato di pregiudizi verso chiunque vince, però d'altra parte quella cosa ti permette anche di mettere la faccia e di avere quindi anche un pubblico che ti segue perché sei tu. Quanto ti fa soffrire, se ti fa soffrire, la parte negativa?

Vorrei tanto poterti dire che non me ne frega, ma non è vero. Io sono uno che ci soffre molto, soprattutto per le cattiverie gratuite e per le pregiudiziali negative: quando sono sulla mia persona mi fanno ridere, per esempio una signora si lamentava del mio giorno di voce e io condividevo, purtroppo però non ci posso fare niente. Mi dispiace moltissimo, però, quando mi dicono che sono dovunque. Io ho delle opinioni e ho il diritto di esprimerle come tutti, non è colpa mia se me le chiedono: io non mi sono mai proposto per dire qualcosa a qualcuno, non ho mai chiamato nessuno per dire "Posso scrivere questa cosa?" oppure "Mi puoi intervistare su questo argomento?" e di questo ne vado molto orgoglioso. Posso anche dirti che vado altrettanto orgoglioso del fatto che quando mi chiama qualcuno, dal piccolo blog al grande giornale, io ci vado sempre volentieri.

A cosa stai lavorando, adesso?

Tocca a Ricciardi, quindi dovrò scrivere il suo prossimo romanzo: ho una bella storia e ogni volta che penso alla bella storia mi chiedo se sarò all'altezza di scriverla per come la penso, perché la scrittura, sai, è un imbuto, non è detto che le belle idee escano fuori come erano belle all'inizio, anzi quasi mai succede. E stavolta mi dispiacerebbe rovinarla perché è proprio bella.

Cosa stai leggendo?

Sto leggendo la saggistica per scrivere Ricciardi: Sara, Mina, Bastardi, Ricciardi, ogni volta che scelgo una trama mi documento a fondo, quindi ho poca scelta, mi manca molto andare in libreria a prendere dei libri, però ogni tanto ci riesco e ogni tanto trovo perle anche tra i saggi e i romanzi degli amici.

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