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Lele Scieri ucciso in caserma, la mamma a Fanpage dopo la sentenza: “Avevo perso le speranze”

Nella casa al mare dove, 24 anni fa, ha appreso della morte del figlio Lele Scieri, Isabella Guarino racconta il percorso per arrivare alle condanne dei giorni scorsi.
A cura di Luisa Santangelo
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La mamma di Lele Scieri
La mamma di Lele Scieri

L'unico momento in cui sua madre cede all'emozione è quando pensa che non è ancora finita. Sono passati 24 anni da quando Emanuele Scieri, conosciuto da tutti come Lele, è morto nella caserma Gamerra di Pisa. E per la prima volta, il 13 luglio 2023, dentro a un'aula di tribunale sono stati condannati, in primo grado, due dei presunti autori dell'omicidio: gli ex caporali Alessandro Panella, a 26 anni di carcere; e Luigi Zabara, a 18 anni.

"È un primo passo", dice Isabella Guarino, madre di Lele Scieri. Il 31 agosto 2023 suo figlio avrebbe compiuto cinquant'anni. "Adesso avrebbe una famiglia sua, dei figli. E invece…", comincia così il suo racconto a Fanpage.it.

Da qualche anno, Guarino si è trasferita in Lombardia per stare vicina al secondo figlio, Francesco Scieri, col quale condivide la battaglia per ottenere giustizia per l'assassinio di Emanuele, vittima di nonnismo.

Ma d'estate torna in Sicilia per qualche tempo, nella casa di famiglia a Lido di Noto, frazione del Comune della provincia di Siracusa. La stessa abitazione alla cui porta hanno bussato i carabinieri, il 16 agosto 1999: "E ci hanno detto che Emanuele era morto. Che magari aveva dei problemi, pensavano che si fosse suicidato – ricorda – Noi eravamo devastati, non riuscivamo a capire. Era impossibile che Emanuele si fosse ucciso, aveva degli obiettivi, voleva fare l'avvocato, si era appena laureato".

L'arrivo di Scieri a Pisa

Lele Scieri
Lele Scieri

E poi "amava la vita, amava la vita veramente". Tre giorni prima, il 13 agosto 1999, l'ultima telefonata con la mamma: "Indovina dove sono? Sono sotto alla Torre di Pisa". Un ricordo che Isabella Guarino condivide sorridendo.

Scieri era stato chiamato per cominciare il servizio di leva, dopo la laurea in Giurisprudenza all'Università di Catania. Prima il periodo di formazione a Firenze, poi il giuramento, i primi giorni di agosto. E, infine, l'inizio della naja alla caserma Gamerra di Pisa, il centro di formazione dei paracadutisti. Un corpo prestigioso.

"Si sentiva parlare di nonnismo, anche di questo eravamo preoccupati – prosegue Guarino – Ma Emanuele a Firenze non aveva visto niente di che, solo qualche scherzo. Era tranquillo lui e, così, eravamo tranquilli anche noi".

"Non avremmo mai potuto immaginare che gli sarebbe successo qualcosa di così tragico, poi proprio la sua prima sera". Perché dopo la chiamata da piazza dei Miracoli, Scieri rientra in caserma, saluta un commilitone e, però, non fa mai rientro in camerata.

Al contrappello delle 23.45 non risponde, e nemmeno agli appelli dei giorni successivi. Il suo cadavere viene trovato il 16 agosto, ai piedi della scala della torretta dell'asciugatoio dei paracadute. Per tre giorni, quel corpo dentro alla caserma non lo aveva visto nessuno.

"Siamo arrivati a Pisa e non abbiamo mai visto il corpo di Emanuele, ce lo hanno sconsigliato tutti. Dopo tre giorni, nel caldo di Ferragosto, era un'immagine di lui che non volevamo avere". Però con loro era partito anche un medico legale, su suggerimento dell'avvocato e di molti amici. È il dottore ad accorgersi per primo delle contusioni sul corpo di Emanuele. Segni incompatibili con un suicidio.

"Abbiamo capito subito che Emanuele era stato ucciso. Ci aspettavamo una collaborazione dalla caserma, dall'esercito. Ma ci siamo scontrati contro un muro di gomma", dice Isabella Guarino.

Il muro di gomma

Ci vuole un po' perché si chiarisca che Scieri è stato ucciso. Ma di presunti colpevoli non si riesce a identificarne nessuno. "Mio marito è morto nel 2011, avevamo cominciato a perdere le speranze che si riuscisse a ottenere la verità".

Nonostante la frustrazione, Guarino, Francesco Scieri e gli amici di Emanuele riuniti nell'associazione Giustizia per Lele continuano a lottare, non si danno per vinti. Finché le cose cambiano, nel 2015, quando la parlamentare aretusea Sofia Amoddio chiede, e riesce a ottenere, una Commissione d'inchiesta sulla morte di Emanuele Scieri. Le aule della Camera si riempiono di testimoni, di persone che quel venerdì sera d'agosto erano alla Gamerra.

È su impulso dei lavori parlamentari che la procura di Pisa apre un nuovo fascicolo. Tra gli indagati, nel 2019 spunta anche – con l'accusa di favoreggiamento – il nome eccellente dell'ex comandante della Folgore Enrico Celentano, poi assolto.

Quando l'inchiesta viene chiusa, a essere accusati dell'omicidio di Emanuele Scieri sono tre ex caporali: Andrea Antico (assolto nel processo con rito abbreviato), Alessandro Panella e Luigi Zabara. L'accusa contro di loro è quella di avere “cagionato con crudeltà la morte dell’inferiore in grado allievo-paracadutista Emanuele Scieri". Di essere stati, cioè, i "nonni" che hanno aggredito il giovane militare, picchiandolo e facendolo cadere dalla scala della torretta.

"Un ruolo importantissimo nell'inchiesta giudiziaria ha avuto la riesumazione del corpo – spiega Isabella Guarino – Grazie alle tecniche moderne, si è riusciti a capire con quanta violenza mio figlio sia stato aggredito. Quando è stata depositata la perizia del medico legale, il procuratore mi ha chiamato e mi ha detto: "Emanuele ha parlato".

La prima sentenza

Il 13 luglio, un mese prima del 24esimo anniversario della morte di Scieri, è stata emessa la sentenza di primo grado. "Io non ero in tribunale, ho qualche acciacco", ride Guarino. Ma la notizia della condanna le è arrivata in tempo reale su WhatsApp.

"Adesso continuiamo – afferma – Non è finita. Penso che arriveremo in Cassazione, la strada è ancora lunga. Cominciano ogni tanto a mancarmi le forze. Ma mio figlio Francesco mi ricorda che dobbiamo andare avanti. ‘Mamma, dobbiamo farlo per Emanuele', mi dice".

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