Lettera ai terremotati, una settimana dopo
pubblicato il 31 agosto 2016 alle ore 22:00
Sette giorni fa, io dormivo. Alle 3.36 del 24 agosto, io dormivo. Quando le case tremavano, i cani si erano appena svegliati, le telecamere di sorveglianza riprendevano i lampadari dondolare, una bambola rosa cadere dal letto, io dormivo.E' strano come ci si possa sentire in colpa per un atto naturale come dormire, di notte. Immagino dipenda dal fatto che alle 3.36 del 24 agosto sono morte 292 persone, e che solo per caso hanno quei nomi lì che non sono anche il mio, o il vostro.
Sono passati sette giorni, da quando ad Amatrice, Accumoli, Arquata, per restare solo a quelli che iniziano con la lettera "a", la morte si è coniugata
con il tempo presente. Quattro minuti e sette anni dopo il terremoto dell'Aquila, per chi ama le casualità.
Se guardi i paesi dall'alto, i paesi non ci sono più. C'è qualcosa di agghiacciante nel vedere i tetti sfiorare i marciapiedi. C'è qualcosa di violento nel guardare le intimità di una camera in cui nessuno ti ha invitato.
Ci sono i libri, c'è un forno a microonde sopra un altro forno a microonde, forse un regalo doppio che non si è avuto il coraggio di cambiare,
perché in questi paesini si conoscevano tutti e si volevano bene anche se arrivavano i regali doppi.
C'è una finestra aperta che dall'altra parte c'è il cielo, che è di colore azzurro e con una nuvoletta bianca, come se tutto fosse normale.
C'è la foto di due che sorridono, potrebbe essere il loro matrimonio, con il vetro rotto, la cornice rotta, loro due vestiti bene. Sorridono e io abbasso lo sguardo.
E cammino.
Le persone, intorno, scavano.
Molti chiamano nomi che non rispondono. Lui non trova lei, lei non trova lui. Loro non trovano le bambine. C'erano anche Alessandro e Juri, che per sposarsi avevano aspettato di andare a fare le vacanze dai genitori di Alessandro, e una legge sulle unioni civili.
Ad Amatrice il terremoto ha ammazzato anche il cimitero. Sono crollate le cappelle di famiglia, e le lapidi fuoriuscite dai loculi. Settimio, Belardino,
Di Giacinto vedova Gaia, vagano.
C'è chi ha scritto che gli immigrati rubano i posti negli alberghi a quelli a cui è crollata la casa. Il babbo degli imbecilli ha sempre le palle gonfie.
Ma c'è anche la mamma delle persone per bene. Ci sono i vigili del fuoco, i volontari, la protezione civile, c'è l'uomo del corpo forestale che alla signora
sotto le macerie le chiede se può respirare e lei dice sì, ma le scappa la pipì.
C'è una signora che chiama al telefono, ringrazia. Dice che ha fatto i tortellini, che fra poco l'acqua bolle e vorrebbe offrirli a tutti quelli che lavorano. C'è chi accarezza gli altri entrando in un ospedale e donando il proprio sangue.
A cento chilomentri, e a mille chilometri, le persone fanno la spesa e la regalano a chi non ha più niente. E una frase in testa: "Non si può essere davvero felici se non lo sono anche gli altri".
Il 24 agosto dio maledisse le campane. Siamo ad Accumoli, una famiglia ammazzata dal crollo di un campanile.
Poi ci sono quelli che scrivono "una preghiera per loro", e vogliono l'elenco dei morti e ognuno si prende un morto e prega per lui. Che secondo me dio guarda e dice "razza di imbecille preoccupati di quelli che mettono troppa sabbia nel cemento, troppo polistirolo nei muri, che invece non devi convincermi tu, a me, di aprire le porte ai morti".
E c'è una scuola che di nome faceva Romolo Capranica, che era d'infanzia, elementari, medie e liceo, costruita nel 2012 secondo norme antisismiche e che è crollata. Che sarebbe come mangiare un chilo di spaghetti e dire ho ancora fame. Le cose non stanno insieme. Come un cazzotto dolce, uno stronzo buono, o una ditta chiacchierata che lavora per un Comune, come ha detto il procuratore.
Poi ci sono stati i funerali. C'è un ragazzo biondo che piange e abbraccia Mattarella come se fosse il nonno suo e non lo lascia più. Piange Agnese Renzi che di figli ne ha tre. C'è un cane in chiesa che si chiama flash perché per le strade di Pescara del Tronto corre veloce e sa sempre dove mettere le zampe, Flash, ma oggi se ne sta seduto tutto il tempo, accanto alla tomba del padrone.
Il premier dice: "Devono decidere i territori, non possiamo decidere solo a Roma". E tutti si augurano sia vero, ma soprattutto che decidano bene.
Sandro Pertini è morto quando avevo 11 anni. Fu condannato a morte dalle SS e liberato dai partigiani delle brigate Matteotti che lo fecero evadere dal carcere di Regina Coeli, salvandolo. Sandro Pertini è stato il settimo presidente della Repubblica Italiana. Sandro Pertini diceva: "Il miglior modo di pensare ai morti è pensare ai vivi". Significa ricostruire, ripartire, fare i lavori necessari alla sicurezza e quelli necessari alla bellezza.
Sette giorni fa, io dormivo. Alle 3.36 del 24 agosto, io dormivo insieme ai morti e ai sopravvissuti. Oggi non abbiamo più sonno, sappiamo che i terremoti non si possono prevedere, però sappiamo che si possono prevenire, adeguando edifici pubblici e privati al rischio sismico.
Saverio Tommasi
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